Voce sola
2021
Da Luigi Pirandello
Di e con Valentina Banci
Musiche Alexander Balanescu
Allestimento Lorenzo Banci e Giulia Barni
“A noi qua ci basta immaginare, e subito le immagini si fanno vive da sé. Ma bisogna crederci in questi miracoli, come ci credono i bambini”
Una potente metafora sull’agonia dell’arte che deve cercare spazi isolati per esprimersi, al di fuori della società.
Questa Voce Sola è fantasma tra spiriti della notte, e proprio come Ilse, l’attrice del dramma, non si stanca di portare la poesia tra gli uomini, forse senza nessuna speranza di salvezza; dove non si salvano né gli scalognati, né gli attori, né il popolo stesso, né tantomeno i Giganti, produttori di soldi accumulati per pochi e simbolo degli invisibili padroni del mondo.
RECENSIONI RECENSIONI
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“…Cristi nel senso di martiri, che non si arrendono alla realtà prevalente, da cui sono rinnegati, e che tentano con ogni sforzo di rivendicare sé stessi con le loro sole forze, portando la loro poesia fra le masse, senza mai rinunciare al sogno, o forse all’illusione, di riuscire nell’impresa. Ma avere avuto la possibilità di assistere all’arte di Valentina Banci ti fa credere, e intensamente, in quest’impresa. Lei, sola su un palco tutto per sé, si prende la briga di dar vita a tanti fantasmi, ovvero a tutte le maschere dell’opera: I giganti della montagna. E questo è il preludio perfetto al suo pensiero, che esplode irrefrenabile al culminare della sua opera. Qui Valentina si lascia andare in un pezzo interamente scritto e pensato da lei, e tramite il quale veicola alla perfezione il dolore di vivere in un Mondo che non sa più assaporare il gusto dell’arte, della poesia, del talento, dello spirito e non riconosce il valore innegabile e assoluto del bello in sé.
Un dolore che è suo come di molti altri, che come lei lo vivono intensamente, e che ti colpisce proprio in quanto fisicamente presente su quello stesso palco, insieme a tutti gli altri spiriti e fantasmi. E nonostante il dolore, il sentimento che prevale è la forza del bello, che si palesa con tenacia. E d’improvviso, come diceva Luigi Pirandello, ci si sente qui come agli orli della vita, e succede che con la sola volontà di Valentina, gli orli si scuciono, lasciando penetrare nella sala del Teatro Borsil’invisibile, i fantasmi, facendo succedere nella veglia quel che è tipico del sogno. E non c’è cosa più dolce che naufragare fra tutti questi spiriti.”
(Luigi Scardigli)
MEGLIO MENO
Come agli orli della vita
“Sola sul palco con camicia bianca, abito e cappello nero, Valentina Banci diventa un centro vitale di potenza fisica, alternando lirismo e cabaret. Il suono della sua voce, arriva con una potenza emotiva a dare vita e corpo ai diversi personaggi. La voce diventa un mantice che fa prendere fuoco alla nostra immaginazione.
E se il figlio di Pirandello scrive la fine dell’opera, facendo morire Ilse, la Banci la continua ancora una volta.
Dopo l’attimo di buio della morte di Ilse, improvvisamente si staglia sulla scena scura, con un grido acuto, il suo pugno alzato e chiuso, guantato di nero.
Ricorda quello degli atleti di colore Smith e Carlos, alle olimpiadi di Città del Messico del 1968. Salirono sul podio con quel pugno nero alzato, il colore della rabbia della loro gente ancora discriminata.
Probabilmente i Giganti di Pirandello, molto hanno a che fare con le ombre fasciste che dal 1920 calano rapidamente sul paese con le loro violenze squadriste. Sono comunque, anche senza connotazioni politiche, i padroni del mondo, carichi di una potenza metaforica e distruttrice. Li conosciamo così fin dalla mitologia greca, quando fanno guerra agli dei dell’Olimpo.
Pertanto non si discostano da quelli di oggi, i padroni del mondo che, secondo i dati Oxfam 2019, rappresentano l’1% della popolazione che detiene più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Quel pugno alzato e nero di Valentina Banci, è per loro: I Giganti della Montagna dei nostri tempi.”
La stessa rabbia di Valentina Banci, (ma anche del teatro, della bellezza, della poesia) che lancia un j’accuse al potere analfabeta che finge di amare la cultura, ma in realtà l’affossa distruggendo e disumanizzando il mondo, rubando i nostri soldi […]
2RIGHE
I Giganti della Montagna, la profezia delle morte della bellezza
“Che altro deve fare chi fa teatro se non interrogare il proprio tempo di domande urgenti da mettere in scena perché siano discusse? È un atto semplice in un meccanismo complesso, di tecnica, di spirito, d’amore. Lo compiono gli attori quando si fanno tramite della domanda, lo compie oggi un’attrice, Valentina Banci, che cerca in sé stessa la voce, sola, con cui Pirandello ha scritto e non finito I giganti della montagna…” (Simone Nebbia)
TEATROCRITICA
I Giganti della Montagna – Voce Sola
“Furiosa, libera, lucida, nitida, sadicamente assorta, ironicamente crudele, Valentina Banci si è messa sulle spalle un lavoro enorme, certosino, difficile e faticoso, lasciandosi illuminare da chi, la luce, la porta con sé e con i suoi scritti, il padre Pirandello, per poi chiudere quell’equazione naturale del teatro nel teatro aprendo un’altra porta, un altro varco, dove iniettare di veleno e dignità un teatro che la poesia di cui dovrebbe vivere e alimentarsi ha preferito uccidere e lasciar marcire.
Lo ha fatto denunciando se stessa e quel mondo cartapestato che le gravita attorno, sorridendo, mascherandosi, sghignazzando, marionetta senza fili, autoalimentata, entrando e uscendo da un nugolo di personaggi, macchiette, finzioni, scratchando sul proprio diaframma, rovesciando, con l’aiuto degli animali della fattoria di Orwell, i tavoli delle nozze di Cana sugli spettatori.”
Questa recensione è stata pubblica online da Meglio Meno:
https://megliomeno.com/index.php/item/1021-ho-visto-uno-spettacolo-che-non-potevo-nemmeno-immaginare
MEGLIO MENO
Ho visto uno spettacolo che non potevo nemmeno immaginare
“…Cristi nel senso di martiri, che non si arrendono alla realtà prevalente, da cui sono rinnegati, e che tentano con ogni sforzo di rivendicare sé stessi con le loro sole forze, portando la loro poesia fra le masse, senza mai rinunciare al sogno, o forse all’illusione, di riuscire nell’impresa. Ma avere avuto la possibilità di assistere all’arte di Valentina Banci ti fa credere, e intensamente, in quest’impresa. Lei, sola su un palco tutto per sé, si prende la briga di dar vita a tanti fantasmi, ovvero a tutte le maschere dell’opera: I giganti della montagna. E questo è il preludio perfetto al suo pensiero, che esplode irrefrenabile al culminare della sua opera. Qui Valentina si lascia andare in un pezzo interamente scritto e pensato da lei, e tramite il quale veicola alla perfezione il dolore di vivere in un Mondo che non sa più assaporare il gusto dell’arte, della poesia, del talento, dello spirito e non riconosce il valore innegabile e assoluto del bello in sé.
Un dolore che è suo come di molti altri, che come lei lo vivono intensamente, e che ti colpisce proprio in quanto fisicamente presente su quello stesso palco, insieme a tutti gli altri spiriti e fantasmi. E nonostante il dolore, il sentimento che prevale è la forza del bello, che si palesa con tenacia. E d’improvviso, come diceva Luigi Pirandello, ci si sente qui come agli orli della vita, e succede che con la sola volontà di Valentina, gli orli si scuciono, lasciando penetrare nella sala del Teatro Borsil’invisibile, i fantasmi, facendo succedere nella veglia quel che è tipico del sogno. E non c’è cosa più dolce che naufragare fra tutti questi spiriti.”
Questa recensione è stata pubblica online da Meglio Meno: https://megliomeno.com/index.php/item/1141-come-agli-orli-della-vita
MEGLIO MENO
Come agli orli della vita
“Pirandello recitato con una sola bocca e tante voci, da un’interprete sublime […]
[…] tre atti concentrati sempre in un unico corpo, pochi oggetti di scena, movimenti ed espressioni precisi e decisi di mani, volto, dorso: quello ripreso dal testo di Pirandello, che ragiona sul tema riproponendo l’idea già presente nei suoi lavori del teatro nel teatro, quello che si fa voce narrante, pur sempre la stessa ma registrata e fuori campo, per raccontar l’epilogo tragico vergato da Stefano, e l’invettiva finale scritta dalla stessa Valentina Banci.
Quella del pugno – un pugno… impugnato dalla protagonista e scolpito da Emanuele Becheri – che risorge dalla tomba, per scagliarsi sul volto dell’impresario di turno – metteteci il direttore generale, il manager che volete […].”
Questa recensione è stata pubblica online da Paese Sera Toscana: https://www.paesesera.toscana.it/valentina-banci-porta-la-poesia-che-muore-nella-cava-abbandonata/
PAESE SERA TOSCANA
Valentina Banci porta la poesia che muore nella caverna abbandonata.